S. Marina Vergine – Santa Marina (Fraz. di Milazzo – ME)

Data della Festa:
Domenica successiva al 18 Giugno

La Frazione di Santa Marina di Milazzo, in provincia di Messina, la domenica successiva al 18 giugno (giorno in cui si celebra liturgicamente Santa Marina Vergine) porta in processione il simulacro della Patrona per le vie del paese. Il simulacro della Santa, conservato per tutto l’anno presso l’omonima chiesa parrocchiale, è un’opera in cartapesta realizzata da Luigi Guacci da Lecce intorno al 1926. Il culto di Santa Marina Vergine a Milazzo è molto antico e ben radicato; già intorno ai primi del ‘500 la Santa era venerata in una piccola chiesetta gestita dai monaci basiliani. Nel 1646 fu realizzata la chiesa attuale che successivamente con l’abbandono dei monaci basiliani fu gestita da un cappellano inviato dall’arciprete di Milazzo.  Nel 1943 la chiesa fu eretta ecclesiasticamente a parrocchia.
Santa Marina nacque in Bitinia (antica regione dell’Asia Minore Nordoccidentale, situata sulle coste meridionali del Mar Nero) tra il 714 e il 715 circa. Trascorse i primi anni dell’infanzia secondo gli insegnamenti dei genitori. A dieci le morì la madre. Dopo poco tempo il padre, Eugenio, decise di realizzare un vecchio sogno: ritirarsi in un convento per vivere nella solitudine e nella preghiera. Marina, al pensiero di restare sola, chiese al padre di portarla con sé, ma egli la dissuase, facendole presente che in quel luogo non erano ammesse donne. Affidata la figlia ai parenti, dunque, Eugenio andò a Canobin, in Siria, dove c’era un Cenobio, un monastero fatto di celle e grotte scavate nella roccia, in cui i frati vivevano nella contemplazione di Dio e nella penitenza, secondo le regole di San Basilio Magno. Pur essendo convinto della scelta fatta, Eugenio aveva nel cuore un cruccio che non gli dava pace: la figlia lontana. L’Abate, accortosi della tristezza che traspariva dal volto del nuovo frate, lo chiamò a colloquio per conoscerne i motivi. Eugenio, che ben sapeva del divieto assoluto di ammettere donne in convento, ricorse ad un innocente ed innocuo stratagemma: disse all’Abate che aveva un figlio a casa e che non poteva starne lontano; aggiunse che più di una volta il figlio gli aveva espresso il desiderio di seguirlo in convento. L’Abate, nel sentire quelle parole, se ne dispiacque e rispose ad Eugenio che poteva andare a prenderlo e portarlo al monastero. A quattordici anni, dunque, Marina entrò in convento con il nome di Fra Marino. Né l’Abate, né gli altri Frati si accorsero che fosse una donna, poiché Eugenio aveva rasato i lunghi capelli della figlia.  Aveva diciassette anni quando le morì il padre.
Un giorno Marina, recatasi con altri frati al mercato del paese per rifornire il Cenobio, dovette passare la notte in una locanda. L’albergatore, che si chiamava Pandasio, aveva una figlia che conduceva una vita disordinata. Era solito frequentare quell’albergo anche un giovane svergognato, che sedusse la ragazza, rendendola incinta. Dopo poco tempo i genitori accortisi del suo stato gli chiesero chi l’aveva resa gravida. Volendo scaricare le proprie responsabilità e contemporaneamente salvare l’amante, la figlia di Pandasio, disse al padre che era stata messa incinta da uno di quei monaci che quella sera avevano pernottato in albergo: Fra Marino. Pandasio, accecato dall’ira, corse al convento, dall’Abate, il quale convocò subito Fra Marino. Davanti a quella calunniosa accusa, Marina andò col pensiero a Gesù Cristo e, anziché discolparsi, si autoaccusò di una colpa non sua. L’Abate cacciò immediatamente Marina dal convento: per la Santa si aprì un lungo periodo di sofferenze. Andò a vivere in un grotta vicino al monastero, cibandosi di erbe selvatiche e accettando qualche elemosina, tra insulti ed ingiurie. Dopo un anno di questa vita, la figlia di Pandasio, desiderando di liberarsi completamente di ogni responsabilità, portò a Marina il “figlio della colpa”, Fortunato. Marina accettò di tenere con sé quel bambino e insieme trascorsero tre anni di esilio e di privazioni, sopportando tutto con religiosa rassegnazione. Finalmente, dietro intercessione dei frati che forse mai avevano creduto all’accusa contro il confratello, l’Abate riammise in convento Frà Marino ed il bambino. Ma troppo duri erano stati i sacrifici dell’esilio, tanto che avevano colpito profondamente il fisico di Marina. Dopo poco tempo infatti, morì. Aveva circa venticinque anni. Da documenti storici accreditati, si evince che Santa Marina morì il 12 febbraio del 740. L’Abate ordinò di seppellire Frà Marino fuori dal convento. I monaci, mentre lo svestivano per lavarlo, secondo le loro tradizioni prima della sepoltura, fecero la sorprendente scoperta, capirono allora di quale grossa diffamazione fosse stata vittima, e l’ammirarono per la sua grande rassegnazione. Grande fu la commozione dell’Abate e dei confratelli davanti al corpo di Marina, che svelava la sua innocenza. La notizia si sparse in tutta la regione e giunse fino all’albergo di Pandasio. La figlia, di cui si era da tempo impossessato il demonio, corse subito al monastero: su di lei la Santa compì il suo primo miracolo, liberandola dalle forze maligne. Santa Marina fu sepolta nel monastero di Canobin, da dove fu trasferita, dopo qualche tempo, in Romania, per sottrarla alle devastazioni dei barbari, ed infine, giunse a Venezia il 17 Luglio 1228 grazie al mercante Giovanni da Bora, veneziano che corrotti i custodi con preghiere e con soldi, ne rapì un’ultima volta il corpo, lo nascose in una cassa, e l’imbarcò fingendola colma di spezie. Tutt’oggi il corpo di Santa Marina si trova a Venezia nella Chiesa di Santa Maria Formosa. In Italia il suo culto, oltre che a Venezia, si sviluppò soprattutto nel sud’Italia dove ancora oggi è venerata come protettrice dei marinai. La festa liturgica si celebra il 18 giugno, ma è anche festeggiata il 17 luglio, giorno della traslazione delle sue reliquie a Venezia. Viene festeggiata in giorni diversi da varie chiese orientali.

Testo a cura del nostro collaboratore Giovanni Anania

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Foto a cura del nostro collaboratore Giovanni Anania

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